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Valle Cervo | 15 ottobre 2017, 08:00

Il biellese magico e misterioso: La chiesa con la “Svastica” a Rosazza

A cura di Roberto Gremmo

Il biellese magico e misterioso: La chiesa con la “Svastica” a Rosazza

Forse quella di Rosazza è l’unica chiesa cattolica che ostenta sulla facciata un’enorme croce uncinata.

Questa singolare peculiarità è il frutto d’una creazione esoterica nata dall’incontro delle cospicue sostanze del senatore Rosazza con l’inventiva di Giuseppe Maffei che fantasia ne aveva da vendere e s’inventava gloriose e fulgide ma assai improbabili, lontane e indimostrabili ascendenze nobiliari.

Il gragliese Maffei è stato certamente un personaggio originale e singolare del Biellese di fine Ottocento perché fu pittore, scrittore prolifico e soprattutto inventore fantasioso di storie che dovevano nobilitare la schiatta della nostra Terra.

La sua opera certamente curiosa ma scientificamente del tutto bislacca fu l’opuscoletto sulle “Antichità biellesi con una appendice sopra gl’illustri uomini della città e circondario” non per caso stampato dalla “Tipografia Operaia” cittadina nel 1883 a dimostrazione dell’importanza e del peso che avevano fra i primi lavoratori organizzati le posizioni di benevolo paternalismo dei buoni borghesi ‘illuminati’ dell’epoca.

Con un linguaggio magniloquente e fascinoso sosteneva che la più nobile stirpe di Graglia non era autoctona bensì giunta con la migrazione d’una tribù d’origine etrusca proveniente da Volterra.

La consuetudine di voler considerare le popolazioni biellesi provenienti da lontane contrade, quasi a voler suggerire che i ‘vitòn’ del posto non possedessero una propria cultura degna di questo nome.

Nel libro “Immagini del vecchio Biellese” Mario e Paolo Scarzella pubblicano la foto d’un quadro del Maffei che rappresenta il “Riposo degli emigranti di Rosazzo Friulano dalla pietà salvati da barbaro eccidio”. S’ispira alla curiosa leggenda che daterebbe al 1300 l’arrivo in val del Sarv d’un gruppo di profughi friulani scampati ad una strage fuggendo dal paese d’origine.

Ovviamente, la tradizione non ha alcun fondamento perché è noto che la valle iniziò ad essere colonizzata da popoli d’origine allemanica provenienti dalla valle del Lys e che attraversavano il colle della Vecchia con le loro greggi.

Del resto, nulla a Corno di Rosazzo, attuale denominazione di Rosazzo Friulano, sembra confermare questa tradizione e per di più nell’archivio dell’Arcidiocesi di Udine è conservato una preziosa raccolta di documenti archivistici di questa località dove non v’è alcun cenno a migrazioni verso oriente né prima né dopo l’anno Mille quando vi venne edificata una grande abbazia dedicata a San Pietro apostolo.

Anche a Rosazzo l’intellettualismo degli eruditi ha comunque colpito poiché lo stemma comunale presenta una cornucopia dalla quale fuoriescono alcune rose rosse, facendone derivare il nome della località da “Rosa - aciu”, una località e le sue rose.

In realtà, sia in Friuli che nel Biellese all’origine della denominazione territoriale sta una mutazione del radicale “Roese”, ghiacciaio, al pari del monte Rosa.

Fra l’altro, nella parlata biellese il paese si chiama più propriamente “Arzasa” che richiama esattamente il ghiaccio, non i fiori.

Queste considerazioni sembra non siano state tenute in alcun conto dal fantasioso Maffei che proprio edificando a Rosazza una “chiesa della rosa” realizzò il capolavoro della sua vita grazie ad un vantaggioso sodalizio con un altro personaggio sopra le righe come il senatore Federico Rosazza Pistolet, vero e proprio ‘padre padrone’ della valle del Sarv.

Nel 2001, in occasione del centenario della morte del Maffei, il Comune e la “Pro Loco” di Graglia, suo paese d’origine, ne hanno dato alle stampe un agile volumetto che ripercorre le tappe salienti del percorso intellettuale senza mancare di ricordare che la svolta nella sua vita avvenne quando iniziò a collaborare proprio con Rosazza Pistolet, già ‘patriarca’ della “Giovane Italia” mazziniana ma che, mentre stava nascendo un’Italia sabaudista ad impronta ferocemente centralista, scriveva nel 1896 che “una buona Confederazione come nella Svizzera converrebbe appuntino all’Italia”.

A dargli ragione, due anni dopo l’autorevole antropologo siciliano Alfredo Niceforo pubblicava un volume che fece epoca dal titolo “L’Italia barbara contemporanea” dove proponeva per il nuovo Stato post-risorgimentale “due governi diversi per le due Italie: da una parte – a sud – il regime governativo deve tender a civilizzare e a togliere dalle mani di autonomie locali inadatte al self governement le redini di amministrazioni libere alle quali non sono mature; dall’altra – al nord – concedere ampie libertà di evoluzione e di azione autonoma”.

Sia Rosazza che Maffei oltre che fanatici patriottardi erano appassionati cultori di spiritismo ed iniziarono ad erigere in diverse località del Biellese edifici, monumenti, palazzi realizzandoli dopo evocazioni degli Spiriti da parte di un Maffei “dotato di capacità extrasensoriali”.

Spiritismo e patriottismo avevano già trovato una sintesi nella sconcertante presenza a Torino d’un mistico polacco, Andrzej Towianski. Accolto con entusiasmo dopo il ’48, profetizzava l’unità d’Italia e invitava Garibaldi a capeggiare una ‘rivoluzione cristiana’ convincendo Pio IX a dimettersi, dicendo d’essere ispirato dalle anime dei più eccelsi defunti, evocati con una sorta di cerchio magico, la ‘biesada’.

Quando gli emissari di Towianski portarono a Garibaldi il messaggio che lo voleva braccio operativo della nuova fede ispirata dagli spiriti il rozzo soldato rotto a tutte le avventure, li mandò seccamente a quel paese ma decine e decine di esponenti della Torino risorgimentale rimasero affascinati ed ammaliati da quest’uomo ritenuto santo che tuttavia fu costretto in breve tempo ad andarsene in Francia lasciando dietro di sé una scelta corte di seguaci del suo spiritualismo occultista, mascherato da una fede sedicente cristiana.

Nel clima di fanatismo patriottico simili farneticazioni avevano campo libero e non v’è da stupirsi se un’animo particolarmente sensibile come quello del Maffei finì per restare impigliato nella rete untuosa dell’esoterismo più spinto.

Però nel pur interessante volumetto biografico pubblicato a Graglia una parola, quella decisiva, manca: Massoneria.

Colma la lacuna un libro prezioso scritto sulla base di fonti inedite da Angelo Stefano Bessone e Sergio Trivero documentando l’impensabile carattere esoterico del tempio cattolico costruito a Rosazza da Maffei e finanziato a piene mani dal senatore mecenate: “Una chiesa tra spiritismo e massoneria”.

Bessone e Trivero hanno fornito ampiamente la prova provata che quell’edificio era imbottito di segni massonici abilmente occultati e non percepibili dai non iniziati.

Una chiesa esoterica ?

Certamente, perché Maffei era fermamente convinto che “[l]e arti figurative [erano] le ancelle dello spirito che plasmano nella materia il segno della sua immortalità” e dunque, con l’aiuto del senatore, anch’egli coinvolto nei misteri dell’occultismo, aveva edificato un tempio cattolico infarcito di messaggi iniziatici.

Oltre che dalla stella a cinque punte, la chiesa è zeppa in ogni dove di rose, simbolico richiamo del cognome del donatore ma anche un fiore considerato “il più delicato e più gentile degli emblemi massonici”; sulle colonne del presbiterio compaiono dei fiocchi che paiono evocare la “catena d’unione” delle tornate rituali massoniche; il soffitto del tempio è interamente stellato come nelle Logge; il piazzale antistante ha mosaici con stelle, ‘lacrime’ e scala e vi si accede da una salita, la “Via pulchra” che porta verso due portali sovrastati dalla stella a cinque punte e da una svastica o croce gammata “che era originariamente l’emblema della rotazione delle Sette Stelle della Grande Orsa intorno alla Stella Polare ed il simbolo dell’Altissimo Dio che ivi regna e dirige l’universo visibile”.

E via di questo passo.

Su uno dei battenti del tempio va notato “il pannello quinto con la margherita che sovrasta una corona turruta con merli guelfi: Una pretiosa margarita”. Vien quasi da pensare alla ‘preziosa’ donna di Dolcino che ebbe quel nome e sovrastò (idealmente) il potere papale (guelfo). Formata da una scacchiera di otto pannelli, quell’entrata è detta “La porta dei giusti”.

Ma “il punto cruciale” della chiesa (che, sottolineano Bessone e Trivero, quando venne terminata “il vescovo Leto non ha consacrato”) è una lapide posta in bella vista sulla facciata con la scritta “Redempta Italia” perché quello specialissimo santuario “veniva eretto quasi in seguito ad un ex voto per la presa di Roma”.

L’evento estremo e risolutore dell’azione, occulta e militare, della consorteria liberomuratoria contro la Chiesa cattolica.

Ma non basta, nel paese di Rosazza, i due fratelli d’arte muraria fecero collocare anche diverse fontane, tutte sovrastate da tre stelle. Quella detta “della Fede” collocata davanti alla chiesa ha, seminascosti sul fondo della vasca, i tre puntini nella ben nota disposizione triangolare massonica.

Il lettore più avvertito noterà che l’accostamento della rosa al simbolo cristiano forma il termine “Rosacroce”.

Non contento, per recuperare simbolicamente anche presunte antichità religiose, nel più puro panteismo pseudo-paganeggiante, Maffei realizzò anche la fontana detta “della Cascata” accanto ad una misteriosa “pietra runica”, un masso scanalato a coppelle simile a quello che il pittore di Graglia “avrebbe scoperto lungo il torrente lì appresso”, in realtà elucubrando a proprio piacere attorno a fenditure rocciose d’origine naturale.

La sospetta eccitazione che ha spinto falangi di improvvisati ricercatori a scovare ipotetiche arcaiche incisioni rupestri deve mettere sull’avviso.

Nelle antiche religioni pre-cristiane la sacralità litica imponeva che la “pietra magica” non venisse in alcun modo manipolata né incisa.

Non paiono credibili le ‘scoperte’ di presunti siti magico-religiosi in località che poi non sono state cristianizzate.

 L’esaltazione della manipolazione umana della “pietra grezza” dal Maffei sembra piuttosto volere, ancora una volta, ipotizzare una sorta di nobile progenie per i ‘fratelli’ ancor oggi intenti a ‘lavorare’ attorno a quel simbolo, prolungando alla Preistoria il fasullo ‘filo verde’ che già passa per cattedrali medioevali, Maestri Comacini, Templari perseguitati e, non dimentichiamolo, Dolcino.

Nella simbologia massonica, la “pietra grezza” appare imperfetta ed è “l’esatta rappresentazione del neofita” ed indica “l’uomo tale e quale la natura lo ha fatto cioè nel suo stato ancora rude ed imperfetto” e che, finalmente illuminato, “dovrà essere squadrat[o]”.

Sempre a Rosazza, i due sodali fecero costruire anche la “Palazzina”, un edificio progettato come sede comunale, con troneggiante al centro un’alta ed evocatrice “torre ghibellina”.

 

Saremo grati a chi vorrà segnalarci realtà analoghe a quelle esaminate in questo articolo scrivendo a storiaribelle@gmail.

   Per approfondire questi argomenti segnaliamo due libri pubblicati da Storia Ribelle casella postale 292 - 13900 Biella.

Roberto Gremmo

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