“Sono trascorsi molti anni da quei giorni e ancora oggi mi rimangono impressi nella mente quegli istanti di vita spezzati per sempre. Non si possono dimenticare quei frammenti di dolore. Di fronte ai miei occhi rivivo, ogni giorno, quel particolare momento appena giunto a Longarone: trovai immediatamente due corpi, due cadaveri nudi e imprigionati tra le rotaie del treno completamente deformati”.
A parlare il fotoreporter biellese Sergio Fighera, invitato a Longarone, venerdì 13 ottobre, in occasione della presentazione del libro "Vajont 9 ottobre 1963 Elenco delle vittime e dei familiari colpiti dal disastro", realizzata dall’Associazione Vajont “Il Futuro della Memoria”. In una sala gremita da 300 persone, si è letto l’elenco dei nomi di tutte le vittime del tragico evento, verificatosi quasi 55 anni fa nella notte del 9 ottobre 1963: una tragedia senza precedenti dovuta alla caduta di un’immensa frana dal pendio del Monte Toc nella acque del bacino idrico contenuto dalla diga. L’impatto portò alla tracimazione dell’acqua raccolta nell’invaso devastando i paesi circostanti e sottostanti la diga, tra cui Longarone.
1910 persone persero la vita a causa della potenza dell’acqua. Di queste 1093 furono identificate mentre non fu possibile stabilire con esattezza l’esatto numero dei dispersi. Nella sciagura perirono anche 487 bambini, in età compresa dai 0 ai 15 anni. Vicende che, nel corso di serata, sono state riportate alla memoria dalle parole di Sergio Fighera, un tempo inviato de Il Biellese, giunto per primo sul luogo del disastro. Molte le lacrime versate nel corso dell’intervento. Lacrime dolorose verso quei volti e quelle vite spazzate via in un unico istante.
“Fin da quando ascoltai per radio della tragedia occorsa a Longarone, capii che la situazione era grave. Senza titubanze partii per quelle vallate arrivando nel primo mattino. Solo in quel preciso istante realizzai la gravità del momento”. Numerose erano le bare di legno pronte per essere seppellite. Molti i cadaveri senza volto riemersi dalle profondità della terra. Un silenzio irreale e disperato, difficile da dimenticare. Per chiunque si trovasse là.
“Dopo che cominciai a fotografare e a muovermi in quella landa devastata – prosegue Fighera - compresi che tutto il paese e i suoi abitanti erano sepolti sotto di me da una massa di fango ormai asciutta. Qua e là emergevano carcasse di auto, insegne, muri di case e semplici cittadini. Mi ricordo come se fosse ieri del ritrovamento di un corpo: in quel momento, mentre scattavo con discrezione quel momento di profondo dolore, una signora mi redarguì rudemente. Di fronte a ciò, abbassai la testa, restai in silenzio e mi allontanai ripensando a quelle parole che mi restarono impresse per tutta la vita. Compresi lo stato d’animo della signora ma dentro di me sapevo che per quanto potesse sembrare poco opportuno scattare una foto, le fotografie sono la nostra memoria nel tempo”.
Molto spesso, infatti, un’immagine vale più di mille parole, specialmente per descrivere ciò che è stato e ha significato la catastrofe del Vajont. Così, a quasi 55 anni dall’immane disastro, Sergio Fighera ha donato a Longarone centinaia di scatti inediti di quei giorni e la sua macchina fotografica dell’epoca. Un dono giunto a molti anni di distanza dalla prima raccolta fondi e di aiuti promossa dal fotoreporter biellese. “Sono rimasto colpito dall’attenzione del pubblico – conclude Fighera - Ero molto emozionato e le lacrime hanno preso il sopravento. Non è stato facile rivivere quei momenti ma sono contento di essere tornato qui a Longarone”.