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ATTUALITÀ | 01 giugno 2020, 07:50

Più di 7 mila persone per imparare a “Fare scuola all’aperto”

Sedici esperti italiani e internazionali di outdoor education hanno condiviso le migliori conoscenze e pratiche nel convegno organizzato da Biella Cresce.

biella cresce

Si è svolto sabato “Fare scuola all’aperto”, un convegno organizzato dall’associazione Biella Cresce. Sedici esperti italiani e internazionali hanno messo a disposizione di insegnanti, dirigenti e genitori le loro conoscenze scientifiche e le esperienze pratiche sull’outdoor education. L’evento è durato otto ore e ha raccolto con 7.306 iscritti che hanno dimostrato grande entusiasmo con i loro commenti.   

Rodolfo Cavaliere e Valeria Rosso, fondatori di Biella Cresce, sono entusiasti dello svolgimento: “Il convegno ha mostrato che la didattica all'aperto non è solo un modo per riaprire le scuole in sicurezza dopo il lockdown, ma il modo migliore per supportare lo sviluppo psico-fisico e di tutti gli apprendimenti dei bambini . Ringraziamo i nostri sostenitori, tra cui Reda, bonprix e Vitale Barberis Canonico, che con il loro contributo ci hanno consentito di offrire gratuitamente l’accesso alla diretta. Continueremo a prestare attenzione a questo tema e proporre eventi, integrandolo nella nostra missione di crescere insieme una generazione migliore”.  

Ecco una sintesi degli interventi.  

Monica Guerra, docente di Scienze Umane per la Formazione all’Università di Milano Bicocca, ha aperto il convegno: “Fare scuola all'aperto amplifica le ricadute positive sull'apprendimento e stimola i processi cognitivi ed emotivi che lo favoriscono. I bambini migliorano l'attenzione e la capacità di concentrazione, migliorano il loro comportamento e la passione per l'apprendimento è stimolata. Stare all'aperto non è un semplice sfogo, ma un vero alleato per la concentrazione”.  

Alberto Oliverio, professore ordinario di Psicobiologia all'Università La Sapienza di Roma: “Questi mesi hanno mostrato la difficoltà di restare concentrati facendo didattica a distanza. Non si può separare corpo e mente, i sensi e l’esperienza potenziano l’apprendimento. Ad esempio non si può insegnare a un bambino a fare una capriola, lo impara solo vedendo altri che lo fanno. Spiace sentire che spesso i genitori temono che i figli si possano fare male all’aperto perché è un aspetto fondamentale. Un bambino è fatto anche per sbucciarsi ogni tanto un ginocchio”.  

Angela Hanscom, terapista occupazionale dell'età evolutiva e fondatrice di TimberNook, un progetto per offrire ai bambini esperienze di gioco nella natura con diverse sedi in Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Australia: "Se i bambini stanno sempre dritti e a testa in su, per esempio, non stimolano alcune cellule importanti presenti nell'orecchio interno. È importante che si muovano rapidamente, che girino su sé stessi o che stiano a testa in giù: questo sviluppa il sistema vestibolare che governa l'equilibrio, aiuta l'organizzazione del cervello e crea le fondamenta per l'apprendimento. Se non hanno occasione di stimolare il sistema vestibolare, spesso cominciano a dondolare avanti e indietro sulla sedia per auto-attivarlo e riuscire a stare attenti. Quando non permettiamo ai bambini di girare su sé stessi e muoversi liberamente diventiamo una barriera al loro corretto sviluppo neurologico”.  

Susanna Heugenhauser, coordinatrice per la didattica speciale in Finlandia ha condiviso le tre regole usate nel suo Paese per gestire gruppi di bambini all'aperto: "La prima è che, ovunque siano, i bambini devono sempre vedere la maestra. La seconda regola è che possono arrampicarsi ovunque vogliono e possono chiedere aiuto se ne sentono il bisogno, ma la maestra non può issarli su un albero. I bambini devono sempre provare la gioia di farcela da soli, devono poter pensare: ‘ieri non ne ero capace ma oggi sì’. La terza regola è che devono rispettare la natura, possono giocare con qualunque cosa trovino ma non possono rompere o strappare nulla. Ovviamente serve un po' di pratica per rispettarle, ma i bambini si aiutano l'un l'altro perché si stanno divertendo. Spesso se uno di loro non rispetta le regole sono gli altri a farglielo notare e aiutarlo a rispettarle”.  

Michela Schenetti, professoressa associata in Didattica Generale dell’Università di Bologna, si è concentrata su cosa significa l’educazione all’aperto per gli adulti e ha condiviso le sue tre motivazioni personali per applicarla: “La prima è che ci costringe a uscire dalle nostre abitudini e dal nostro ruolo. La seconda è che fuori dai contesti abituali cambiamo le relazioni con i bambini, che spesso in aula sono unidirezionali. Terza ragione: i contesti reali ricordano a noi adulti quante cose ancora non sappiamo oppure che non riconosciamo quando le incontriamo fuori dai libri di testo. Queste tre motivazioni aiutano gli adulti a mettersi dalla parte dei bambini e cercare insieme una risposta alle domande aperte. Gli attori del cambiamento sono gli insegnanti, noi siamo qui per aiutarli. Voglio immaginare i sette mila iscritti a questo convegno come sette mila semi pronti a dare frutto”.  

Anna Oliverio Ferraris, professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo dell’Università La Sapienza di Roma dal 1980 al 2010: “Uno dei miei studenti, durante una ricerca, ha notato che un gruppo di bambini che stavamo osservando era più attento degli altri gruppi. Abbiamo scoperto che l’elemento decisivo era che questi bambini si recavano a scuola attraversando il parco di Villa Borghese a Roma mentre gli altri in automobile. Già solo questo bastava ad aumentare il livello di concentrazione”.   

Giuseppe Paschetto, insegnante e membro della Commissione ministeriale per l’innovazione didattica e la formazione, ha elencato tutte le iniziative che ha lanciato negli anni con le sue classi di scuola secondaria e che gli sono valse la candidatura al Global Teacher Prize 2019. La più famosa è probabilmente la raccolta di 3 milioni di euro per evitare che l’isola di Budelli diventasse privata (oggi fa parte del Parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena). Paschetto ha condiviso cosa serve a un insegnante per organizzare esperienze come questa: “La prima barriera mentale da abbattere è la divisione in materie, il sapere è multidisciplinare. Il mio consiglio per iniziare è documentarsi, in rete c’è molto materiale per organizzare esperienze all’aperto. E poi lanciarsi. Non servono grandi strumenti, in un metro quadrato di ambiente si possono organizzare attività per settimane e settimane”.  

Selima Negro, fondatrice dell'associazione Fuori dalla scuola e di un asilo nel bosco: “Negli ultimi cinque anni siamo sempre stati all’esterno e abbiamo accumulato tanta esperienza su come organizzare un’esperienza all’aperto. Ci confrontiamo spesso con strutture che hanno problemi pratici, ad esempio non sono situate al piano terra. Ecco i tre passaggi che condividiamo. Primo: lavorare su di sé per sentirsi a proprio agio all’esterno e trasmettere così delle sensazioni positive ai bambini. Secondo: chiarire perché stiamo fuori, in particolare i benefici enormi che i bambini hanno. Terzo: documentarsi, perché spesso abbiamo un’idea lontana sbagliata di cosa serva a un bambino per crescere”.  

Claudia Ottella, coordinatrice pedagogica dei Nidi della Città di Biella che ha avuto parte attiva nell’organizzazione del convegno, ha mostrato le caratteristiche dei giardini in cui fare educazione: “Chi da anni porta avanti questa filosofia è stato entusiasta quando ha letto outdoor education nelle comunicazioni ministeriali delle ultime settimane. Ma poi ci siamo detti, non vogliamo che sia solo un adeguamento alle norme di sicurezza. Vogliamo che sia una scelta. Gli spazi esterni non devono avere grandi strutture o giochi costosi, le aree verdi anche cittadine offrono tante opportunità. Ovviamente servono energie, creatività e manutenzione, ma i benefici sono tantissimi”.  

Oula Pihlajamäki insegna nella piccola scuola elementare Lastusten, una delle otto primarie di Lempäälä, comune di 21 mila abitanti a 160 km da Helsinki. Nel suo intervento ha mostrato la sua scuola e raccontato l’esperienza di un maestro che applica quotidianamente la didattica all’aperto: “Ogni mattina dopo le prime due lezioni usciamo per 40 minuti. Qui abbiamo un periodo dell’anno piuttosto lungo in cui la temperatura è intorno ai -20°C e piove molto, ma su 190 giorni di scuola restiamo in classe tra le cinque e le dieci volte, quando piove davvero tanto o ci sono -30°C”. Oula ha mostrato anche il laboratorio della scuola, dove ci sono una grande quantità di attrezzi come martelli, forbici e coltelli a completa disposizione dei bambini: “Gli studenti sono liberi di usarli gradualmente a partire dai sette-otto anni. Insegno qui da sette anni e ci sono stati forse tre piccoli incidenti in cui è servito un cerotto, niente di più”.  

L’educatrice Claudia Loglisci ha raccontato il progetto di asilo nel bosco organizzato con l'associazione L’AgriCultura di cui è fondatrice: “Non basta portare i bambini nel bosco aspettando che madre natura faccia il lavoro al posto nostro, dobbiamo metterci nella condizione giusta. Ci mettiamo al fianco dei bambini e non interferiamo con le loro esperienze. Noi abbiamo scelto il rapporto di uno a sette: un adulto ogni sette bambini. Abbiamo tre accompagnatori, due donne e un uomo per far interagire i bambini con entrambi i sessi. Insieme ai bambini suoniamo, creiamo oggetti in legno, facciamo escursioni in bicicletta, accendiamo il fuoco e coltiviamo. Abbiamo un cane, Pooka, che ci accompagna e aiuta i bimbi a vincere la paura. Raramente i bambini si mettono in una situazione di pericolo”.  

Maura Farris, educatrice professionale e accompagnatrice di progetti didattici in natura, ha mostrato come è continuato il percorso dal bosco dei Piccoli a quello dei Grandi: “Dopo tre anni, sotto la spinta dei genitori pionieri che ci avevano portato i loro bambini, abbiamo deciso di continuare l’avventura e costruire una scuola primaria nella natura. Abbiamo aule all’aperto e uno spazio per fare lezione all’interno quando non si può stare fuori. Stiamo destrutturando il nostro modo di fare lezione per costruire una didattica basata sull’esperienza e senza dare voti”.  

Emanuela Simoni, educatrice dei Nidi della Città di Biella, ha condiviso i passaggi con cui hanno trasformato la loro scuola: “Fino a qualche tempo fa lo spazio esterno era pieno di giochi in plastica colorati, ma due anni e mezzo fa la nuova coordinatrice Claudia Ottella ha portato un nuovo approccio, condividendolo con noi e i genitori. Come primo passo abbiamo provato a uscire con la pioggia o la neve: abbiamo posizionato i vestiti da esterno vicino all’uscita e gli stivali appena fuori, così al rientro non si infanga la scuola. Il secondo passo è stato togliere i giochi in plastica. Avevamo paura che i bambini non sapessero più cosa fare all’esterno. Invece, messi nella condizione di esplorare l’ambiente, i bambini si sono trasformati: la litigiosità si è abbassata enormemente e anche i malanni stagionali sono scesi. Il terzo passo è stato ridisegnare l’esterno con materiali naturali come tronchi di legno. Ora abbiamo una continuità tra interno e esterno che ha tolto le barriere”.  

La pedagogista Daniela Ghidini e l’insegnante Marianna Vaccalluzzo della scuola Vittorio Veneto di Torino hanno portato l’esperienza di un istituto cittadino: “La nostra scuola è un prefabbricato circondato da asfalto, ma un gruppo di persone visionarie ha avviato il progetto chiamato “scuola in verde”. Sono stati creati orti, serre, stagni e altre aree naturali. Ora i bambini possono giocare all’esterno, nel verde, anche in città. Ma si può iniziare anche solo osservando l’asfalto e i tombini, l’importante è stare fuori. Poi il fuori si connette con il dentro, le esperienze vengono rielaborate in classe o in laboratorio, con i microscopi e i computer”. Anche le famiglie sono fondamentali: “Non si può creare una coscienza ecologica se non si coinvolgono anche i genitori”.  

Nicoletta Caccia, ortoterapista, formatrice e collaboratrice della rivista Bambini: “Coltivare un orto è un processo per tentativi. Si procede per esperimenti, spesso si fallisce ma si impara a migliorare. Sognare non costa nulla e il mio sogno è che ci possa essere un orto in ogni scuola, in ogni centro anziani, in ogni casa. Se non siamo capaci a fare qualcosa ci possiamo fare aiutare: abbiamo solo bisogno di non sentirci giudicati ma accompagnati. Per i bambini vale lo stesso”.

Sara Vincetti, insegnante, formatrice e illustratrice, ha presentato la sua ‘didattica del filo d’erba’: “Avrei potuto chiamarla didattica del sassolino, o della conchiglia, o di altro ancora. Spesso noi adulti perdiamo di vista la meraviglia delle piccole cose, ma un bambino no. Con questo approccio cerco di esplorare il contesto naturale che ci circonda. Non servono grandi spazi, basta una piccola aiuola per accendere la meraviglia. Portate fuori i bambini a disegnare all’aperto: non importa se il disegno è bello o no, non dobbiamo diventare tutti illustratori. Quello che importa è l’indagine e la curiosità”.        

Comunicato stampa g. c.

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