“Perdere una persona importante è già di per sé un’esperienza angosciosa ma il lutto da suicidio rientra in un lutto che possiamo definire 'complicato'. Il dolore inerente alla perdita sembra avere caratteristiche peculiari che lo distinguono da quello per il lutto dovuto ad altre cause di decesso. La morte per suicidio risulta inattesa, violenta e traumatica e lascia spesso la sensazione in chi rimane che qualcosa poteva essere fatto per evitare l’accaduto”.
A parlare Elena Macchiarulo, psicologa e psicoterapeuta, con una formazione in psicologia dell’emergenza e in psicotraumatologia, referente interdipartimentale del Tavolo di Lavoro sulla Prevenzione del Suicidio. Da oltre 20 anni lavora presso la Struttura Complessa di Psichiatria dell’ASL di Biella e da molto tempo si occupa di prevenzione del suicidio e della gestione di eventi traumatici.
Dottoressa, quando è partito questo servizio di assistenza alle persone che hanno perso il loro caro?
Nell’ambito della Struttura Complessa di Psichiatria dell’ASL di Biella è attivo, da oltre dieci anni, un percorso psicologico 'dedicato' a coloro che hanno perso un familiare a causa del suicidio. Si tratta di un servizio mirato, che funziona in parallelo rispetto ai servizi focalizzati su chi sta vivendo un momento di crisi, e rappresenta di fatto un ampliamento del raggio di azione, consapevoli che il suicidio sia un evento sistemico, che influisce sulle relazioni, fino a determinare rotture e una perdita di 'equilibrio' nelle persone a cui viene improvvisamente a mancare un familiare, un amico o un conoscente. Si creano infatti fragilità individuali che devono essere accolte e trattate in modo opportuno. Negli ultimi anni, l’apertura dell’ambulatorio di Psicotraumatologia ha permesso, grazie ad una linea telefonica prioritaria, di rispondere tempestivamente alle segnalazioni di tutte quelle situazioni in cui l’evento suicidario genera impatti importanti, riuscendo ad avvicinare in breve tempo quelle di maggior criticità o comunque legate a situazioni più delicate.
Si parla di “sopravvissuti” al suicidio: chi sono e come vengono assistiti?
I cosiddetti 'sopravvissuti' (survivor of suicide), così definiti da diversi studiosi, come McIntosh, sono i membri di una famiglia, i parenti e gli amici che sperimentano la perdita di un caro a causa del suicidio; possono anche essere i membri di una cerchia più ampia di persone, ad esempio i colleghi di lavoro, più in generale sono quella comunità che rimane scossa in seguito a questa tipologia di eventi. Solitamente le persone che affrontano un lutto sono comprese e ricevono compassione e sostegno, ma talvolta non si può dire lo stesso per coloro che hanno perso un congiunto in queste circostanze. Spesso i parenti hanno ancora molta difficoltà ad ammettere che la morte del loro caro è avvenuta per atto volontario e le persone intorno provano disagio a parlarne. Inoltre, si domandano se avrebbero potuto in qualche modo evitare, ostacolare e quindi prevenire l’atto letale. Sentimenti di colpa, vergogna e di rabbia ricorrono spesso e necessitano di una particolare attenzione in quanto rischiano di contribuire e aumentare un senso di isolamento sociale alimentando lo stigma e il senso di solitudine. Il servizio proposto affianca e supporta la persona nella gestione di questi aspetti che includono sentimenti e vicende ogni volta diverse, sebbene accomunate da percorsi e situazioni molto simili. “Il fattore tempo” inteso come il periodo intercorso fra la richiesta di aiuto e l’evento accaduto è determinante rispetto all’impostazione del tipo di intervento offerto. È bene ricordare che in qualsiasi momento si è sempre in tempo a chiedere aiuto.
Come e con quali modalità viene fornita assistenza a queste persone?
Questo servizio, in modo strutturato è partito prima del 2013. Dopo un primo incontro organizzato, quando è possibile, con tutti i familiari vengono poi proposti interventi che si declinano in maniera differente per tempo e modalità a seconda delle specifiche necessità coinvolgendo altri specialisti del servizio e della rete. Nell’ambulatorio sono proposti diversi tipi di interventi fra i quali, incontri familiari, psicoterapie individuali specifiche orientate all’elaborazione di eventi traumatici e gruppi di psicoterapia a cui partecipano anche persone che non risiedono nel nostro territorio, visto che sono ancora molto pochi i programmi dedicati a questo tipo di utenza. Viene utilizzato inoltre anche il monitoraggio telefonico in specifiche situazioni. Nel gruppo i partecipanti hanno l’opportunità di normalizzare le emozioni intense che stanno vivendo, approfondire elementi di natura psicoeducazionale rispetto al tema della crisi emotiva, e possono trovare confronto e conforto rispetto alle strategie di superamento del dolore per la ricerca di un nuovo equilibrio emotivo e relazionale nella vita quotidiana. I gruppi offrono un clima di accoglienza e di accettazione, aspetti fondamentali per far sentire i componenti in un luogo sicuro, dove possono sentirsi a proprio agio anche e soprattutto a livello emotivo, senza forzature. È importante che i 'sopravvissuti' non si sentano soli.
Quali le principali fasce di età che usufruiscono di questo servizio di assistenza?
Molte le persone all’inizio dell’attività ma ciò che è emerso dall’esperienza di questi anni è una trasversalità dell’utenza che si è rivolta a noi. Ci sono stati utenti molto giovani, ma anche persone molto avanti con gli anni. Tuttavia, volendo identificare la fascia più rappresentata, quella statisticamente più rilevante è quella delle donne di età compresa tra i 40 e i 65 anni di età.
Quali le soluzioni adottate da queste persone per superare questo momento di profonda difficoltà?
Ogni storia è diversa da un'altra, ci sono indubbiamente situazioni più complesse che riguardano la perdita di un figlio, di un coniuge quando sono presenti bimbi piccoli in famiglia. Ogni lutto è un 'giro di boa': da quel momento in poi ci sarà un 'prima' e un 'dopo'. Ma perdere qualcuno che hai visto nascere e crescere può cambiare la percezione della realtà. Niente sembra più lo stesso. La perdita di un figlio è un dolore atroce per ogni genitore perché va contro la legge della vita, infrange un luogo comune sul naturale ordine delle cose: che siano i giovani a dover seppellire i più anziani. È emerso che le madri tendono a sperimentare punteggi più alti di dolore, ma sembrerebbe anche una maggiore crescita post-traumatica attraverso strumenti che la favoriscono, come il supporto sociale, il tempo trascorso dalla morte, la spiritualità, l’impegno sociale e l’impiego di strategie attive di fronteggiamento delle difficoltà. Dopo un suicidio di un genitore, la prima domanda che si pone l’altro genitore rispetto ad un figlio è: 'Devo dirgli che si è suicidato?' È infatti assolutamente comune per i genitori sentirsi ambivalenti, da una parte desiderare di dire la verità ma dall'altra chiedersi se sia la cosa giusta da fare e come eventualmente farlo. È il genitore che può trovare il linguaggio adatto al proprio bambino, adatto alla sua età. In questi momenti è importante essere sostenuti e accompagnati a trovare il modo più corretto per quella determinata situazione.
Infine, qual è l'obiettivo finale di questo servizio?
Tutte le attività sviluppate con i 'sopravvissuti', che hanno lo scopo di facilitare il recupero del benessere o quantomeno di evitare esiti negativi, sono considerate attività di postvention, termine coniato dallo psicologo Shneidman, considerato il padre della suicidologia (la scienza dedicata allo studio e alla prevenzione del suicidio ndr). L’elaborazione di un evento traumatico è raccomandata da molte ricerche, che hanno dimostrato che i 'sopravvissuti' hanno un’alta probabilità di sviluppare un disturbo da stress post traumatico nel tempo. La 'normalizzazione' è un processo importante per le persone in lutto: poter vedere altri alle prese con le stesse reazioni di dolore aiuta i membri del gruppo a riconoscere che le loro risposte 'sono normali', dato l’evento accaduto. Essere insieme nel gruppo significa che ciascuno può crescere nel suo percorso e trarre vantaggio anche dalle esperienze degli altri, anche se questo tipo di risultato è il frutto di un lavoro molto delicato. Infatti, sulla base dell’esperienza vissuta dai terapeuti che conducono i gruppi, la cosa più difficile sta nel moderare i racconti dei partecipanti, ricercando il giusto equilibrio per portare l’attenzione sulle persone e non sull’evento suicidario stesso, evitando nuove traumatizzazioni. L’obiettivo è creare consapevolezza, condivisione, che evolve in speranza, che emerge in un momento di vita dove nulla sembra avere più importanza e il dolore mentale sembra intollerabile. In particolare, la partecipazione ai gruppi contrasta la frequente tendenza ad isolarsi, il gruppo rappresenta l’opportunità di esprimere il proprio dolore in ambito di riservatezza e protezione lontano dalla paura del giudizio. Quest’ultimo aspetto è molto importante in quanto i sopravvissuti possono trovare difficile parlare della loro esperienza ad altri a causa del tabù che ancora avvolge il tema del suicidio.
Presso la Struttura Complessa di Psichiatria esiste un ambulatorio dedicato con personale specializzato per aiutare persone che stanno affrontando o hanno subito un lutto da suicidio. Il contatto al servizio può essere effettuato chiamando il Centro di Salute Mentale di Biella, in strada Campagnè 7/A (015.8461477) oppure il Centro di Salute Mentale di Cossato, in via Milano 48 (015.15159506).