ATTUALITÀ - 26 agosto 2024, 07:00

Patrizia Antonicelli, figlia dello scrittore Franco, si racconta

Nata a Sordevolo, i ricordi del padre grande figura nel panorama letterario italiano e noto antifascista, nell'intervista di Giacomo Ramella Pralungo

Patrizia Antonicelli, figlia dello scrittore Franco, si racconta

Patrizia Antonicelli nata nel 1941 a Sordevolo, a Villa Germano, oggi Villa Cernigliaro, figlia di Franco Antonicelli e Renata Germano, dopo parte dell’ infanzia passata nella Villa del nonno materno, il notaio Annibale, ove papà Franco ospitò intellettuali antifascisti quali Benedetto Croce, Luigi Pirandello, Eugenio Montale e Cesare Pavese, si trasferì a Torino studiando al Liceo classico d’ Azeglio e laureandosi in scienze politiche all’ Università degli studi di Torino.

Dopo un’ ottima carriera a Milano e Londra, aprì una galleria d’arte amerindia antica e contemporanea, e al ritorno a Milano fondò una nuova società di consulenza di comunicazione strategica per un gruppo statunitense tra i pionieri nel settore, dividendosi tra la città ambrosiana e Roma. A seguito di una parentesi nel Nuovo Messico, a Santa Fe, per approfondire la conoscenza delle culture amerindie, diede vita ad una società servizi per il turismo culturale nell’ Ovest statunitense. A fine 2017 rientrò a Torino.

Signora Antonicelli, lei è nata a Villa Germano, dal 1945 Villa Cernigliaro e oggi dimora storica. Di tanto in tanto vi ritorna per qualche tempo in ritiro. Che cosa ricorda della sua infanzia in questo luogo, e che effetto le fa varcarne le porte?

Ricordo poco perché ho lasciato Sordevolo a sei anni per andare a scuola a Torino. La guerra era ormai finita. I ricordi che mi sembra di avere sono un pout pourri di racconti di altri, fotografie e qualche forte impressione che si è ancorata in me. Se vogliamo accennare a questi brandelli di passato direi che sento ancora il dolore delle cadute sulla ghiaia aguzza del giardino, bellissima e quasi azzurrina, su cui imparai a camminare! Avendo imparato così duramente a camminare, ricordo la gioia di andare con la mamma fino al delizioso giardino all’ italiana, in inverno sepolto nella neve, per nascondere i pezzi di burro fatto in casa proprio attorno alla fontana ghiacciata, un luogo facile da ricordare. Giuravo che non ne avrei parlato con nessuno, ma la nostra fedele Mimina, come la chiamavo io perché incapace di pronunciare il suo vero nome, Eufrosina, mi faceva tutte le possibili domande per vedere se fossi forte nel resistere di raccontare le mie peripezie! Pare che io non abbia mai ceduto… Infine, ricordo l’ emozione che provai una volta, forse avevo tre anni, mentre aspettavo di vedere cosa mi aveva portato la Befana il 6 gennaio: un limone! Allora una spremuta di limone era un evento eccezionale! Durante la mia infanzia, papà era una figura mitica in quanto non c’ era quasi mai. Tra i ricordi di quei miei primi anni ci sono alcuni rari incontri. Mi hanno raccontato di quelle tre o quattro volte in cui lui venne a trovarmi. Fu alla Villa una volta, in casa di amici nel biellese un’altra, ove lo riconobbi immediatamente! Poi ci fu un tentativo fallito quando ero nascosta in casa di un amico svizzero perché per trovare papà quei simpaticoni mi avevano messo una taglia sulla testa. Sono scappata di casa col mio fedele cagnolino, Hoppy, e camminando ancora poco sicura seguivo tra il traffico lo stradone che secondo me portava dritto da papà! Per fortuna mi trovarono salvandomi da morte sicura. Varcare il cancello del parco è sempre un’ emozione fortissima!

Suo padre, l’autore ed editore Franco Antonicelli, fu una grande figura nel panorama letterario italiano, e un noto antifascista. Che cosa ha imparato maggiormente da questo notevole genitore?

Ho imparato quello che chiunque può fare, prendere esempio, trovare la maniera di essere quello che si può realizzare, dare la precedenza ad un’etica rigida di vita con principi di rispetto e tolleranza. Non avrei potuto studiare, leggere, impegnarmi come fece lui. Eravamo diversissimi ed entrambi, con la nostra personalità forte e determinata, sapevamo che sono i valori di base che reggono una vita in cui ognuno trova le espressioni per viverla bene. Lui provò invano a trasmettermi le sue passioni e a farmi studiare col gusto di sapere e godere della cultura più vasta possibile. Fallì, purtroppo! Ma non mi fece mai sentire in colpa e sempre si interessò alle mie cose bislacche che poco si legavano al suo mondo. Io ero affascinata dalla sua cultura, e col tempo accettai la differenza. Eravamo molto uniti e io osavo fargli domande stupide. Lui cercò sempre di capirmi soprattutto quando iniziai a lavorare. Entrambi molto affettuosi siamo riusciti a capirci, anche con qualche risata! Fu un uomo di cultura, che lasciò molte opere importanti tra saggi e poesie.

Quali erano i temi e i valori a lui più cari?

Per molto tempo ho cercato di assorbire quello che mi diceva nei nostri incontri o nei suoi scritti, sia nelle poesie riportate su ogni genere di carta che negli articoli pubblicati sui giornali. Lasciò una marea di scritti, finiti e non, disegnini schizzati a matita accanto ad un elenco di cose da fare e ad uno schizzo di una pianta che aveva sulla finestra. Non posso rispondere a questa domanda troppo ampia! Di sicuro, contrariamente a quello che si può evincere dalla sua vita, era un sognatore. Un poeta, forse. Quindi, malgrado l’ importanza dei suoi scritti politici e discorsi parlamentari, la bellezza della natura, i colori delle Apuane e le foglie delle sue piantine si mescolano al rigore delle accuse lanciate in Senato e alle poesie schizzate su foglietti di ogni genere. Il rigore etico credo fosse il suo punto fermo, la bellezza della natura e degli animali era un altro suo mondo come testimoniano la valanga di schizzi e disegni raccolti e non che produsse. Mi sono chiesta sovente se fosse più poeta o più politico. Non è necessario rispondere, credo fosse entrambe le cose allo stesso tempo. La raffinatezza dei modi e dello scrivere, il rigore nella scrittura fosse un articolo o un bigliettino al giardiniere, i gesti affettuosi ed eleganti e la sua cultura enorme, raffinata e ed estesa sono difficili da ingabbiare in qualche definizione. Bellezza e giustizia forse?

Durante la dittatura fascista, su invito di suo padre si recarono alla Villa numerosi dissidenti antifascisti, oggi nomi classici della letteratura e cultura italiane. Poi, per ironia della sorte, la residenza divenne un baluardo della X MAS.

La tradizione di incontri antifascisti iniziò presto, promossa dal nonno, Annibale Germano. Papà venne più tardi, era giovanissimo, e gli «incontri antifascisti» si infittirono col crescere del Fascismo. Fu solo qualche anno dopo, e in seguito al loro matrimonio al confino, avvenuto alla fine del 1935, che le scampagnate antifasciste aumentarono. Nel paradiso del Biellese molte menti si ritrovarono per parlare e discutere di antifascismo. Rileggere i nomi di quegli amici, intellettuali e studiosi fortemente contrari alla dittatura, ancora oggi lascia stupiti. Spesso si parla soprattutto di Benedetto Croce, assiduo frequentatore dei ritrovi sordevolesi anche perché aveva comprato una casa non lontano, a Pollone. Più volte papà faceva passeggiate per trascorrere un po’ di tempo insieme al grande filosofo e a volte a fatica io gli trotterellavo dietro. Peccato che allora non potessi partecipare ai loro discorsi! Ho sempre invidiato papà e mamma per quei raduni di persone eccezionali in cui cultura e passione politica li univano nell’ impegno antifascista. C’ è un bel libro fotografico, quasi introvabile, «Ci fu un tempo», in cui le fotografie scattate sia da papà che da mamma raccontano gli incontri nel bel giardino davanti alla villa delimitato dalla famosa panca lunghissima. Pare la seconda più lunga del mondo. L’ episodio della X MAS fu una sorpresa, decisamente spiacevole! Si presentarono in giardino armati fino ai denti e dissero subito che la Villa era requisita. In casa c’ erano solo donne, per lo più anziane, parte degli ospiti fissi che mamma sosteneva perché non avevano dove andare per stare lontano dai pericoli cittadini. Qui mamma fu eroica, anche se più tardi mi raccontò quanta paura aveva avuto, e non a torto! Io finii in uno delle quattro guglie, chiusa a chiave. Le ospiti eccitatissime e mamma sola. La parte più dura erano le cene dove mamma era obbligata a partecipare, per ordine del capo degli aguzzini. Ho un quadernetto con brevi pezzi di diario che mamma scriveva la notte per calmarsi. Qui, seduta, unica donna, al tavolo attorniata da una dozzina di omaccioni violenti, ogni volta era costretta ad assistere ai racconti delle bravate di quei massacratori che, mi disse in seguito, passavano le giornate ad ammazzare donne, uomini e bambini! Non mi raccontò mai molto né diede i dettagli di quando salutò il capo della banda che la guardava con un po’ troppa attenzione. Lei era riuscita a gestire il rapporto con quei mostri con naturalezza e fermezza. Credo che quei banditi in fondo fossero intimiditi.

Nel 1945, Villa Germano fu acquisita dal notaio Carmelo Cernigliaro, padre di Carlotta, sua carissima amica che oggi ha fatto di questa dimora storica un vivace e gradevolissimo centro di attività nel solco degli ideali di universalità e libertà di espressione, sede dell’ associazione culturale Zero gravità. E’ soddisfatta della continuità che la signora Carlotta porta avanti con i valori della sua famiglia?

Non solo soddisfatta, ma anche felice e grata! Che in questa Villa continui una tradizione culturale d’avanguardia e innovativa che stimola ai visitatori pensieri esistenziali coltivando scoperte di forme d’arte senza confini dettati da interessi altri rispetto alla creatività artistica colta e profonda non può che farmi felice! Poteva diventare un luogo di pranzi e ricevimenti o di mondanità fine a sé stessa! Invece lo stupore che stimolano tra i visitatori le opere delle mostre con prestazioni in loco non può che aprire la mente a mondi che raccontano nuovi modi di pensare, e anche se non piace stimola la discussione. Quindi la Villa è passata attraverso la politica antifascista e la Resistenza all’equivalente passaggio dall’ arte della tradizione classica con tutte le sue sfaccettature a qualcosa di più rivoluzionario e innovativo.

Giacomo Ramella Pralungo