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COSTUME E SOCIETÀ | 27 gennaio 2025, 06:50

Giornata della Memoria, il racconto dei sopravvissuti biellesi: “In fuga per scampare a morte e lager”

Ai nostri taccuini, la testimonianza di Riccardo Vitale e Lommy Legziel, figlio di Nora Vitale, scampati all'orrore dell'Olocausto: “ Altri parenti sono morti nel campo di Auschwitz”.

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In foto, Nora Vitale e, dall'alto, Riccardo Vitale e Lommy Legziel.

“Sono un sopravvissuto dell'Olocausto. Io e la mia famiglia siamo scampati all'orrore del nazismo. Altri, purtroppo, non sono stati così fortunati e sono morti nel campo di Auschwitz”. Sono trascorsi più di 80 anni dai giorni della Seconda Guerra Mondiale e dalla Shoah ma i ricordi di quei momenti sono ancora ben nitidi nella sua mente. Sono le parole di Riccardo Vitale, di famiglia ebraica, nato il 5 marzo 1939 e cresciuto a Biella fino al 25 dicembre 1943.

“Un giorno che non dimenticherò mai – racconta – Pensavamo che la guerra fosse finita dopo l'armistizio dell'8 settembre ma è stata una pia illusione. Con l'arrivo dei tedeschi nell'Italia settentrionale, Biella non era più una città sicura. Così, in giornate diverse, io e i miei genitori, assieme ai miei fratelli Aldo e Bruno, ci siamo diretti a Como per tentare di trovare rifugio in Svizzera. Assieme a noi era presente la nostra balia, Carlotta Rizzetto”.

Giunti in terra comasca, l'amara sorpresa. “I contrabbandieri ci avevano garantito un passaggio sicuro per il confine ma non erano più disposti a portarci tutti e cinque nonostante le richieste di soldi e gioielli per il viaggio oltreconfine – confida amaramente – In quel momento, solo mio fratello Bruno e Carlotta restavano sul suolo italiano. Vi lascio immaginare i sentimenti di disperazione che provarono i miei familiari. E fu allora che avvenne l'imponderabile. La nostra Carlotta decise di cambiare identità e religione per salvare la vita di mio fratello. Diventare ebrea, con tutti i rischi che ne avrebbe comportato, come il rischio di venire deportata. Così ha falsificato la propria carta d'identità pur di mettere in salvo la vita di un essere umano. Diventò Noemi per consentire a mio fratello di arrivare in Svizzera e riunirsi alla nostra famiglia”.

Un gesto di profondo altruismo, generosità e coraggio, riconosciuto nel 2010 con la consegna della medaglia di Giusto fra le Nazioni, nella sala consiliare di Palazzo Oropa, al nipote della donna, Roberto Del Piano. “Se non avesse agito così non so proprio cosa sarebbe accaduto – ammette Vitale - Forse, molto probabilmente, entrambi sarebbero stati rispediti in Italia e deportati nei lager nazisti. Una sorte terribile, accaduta ad alcuni membri della nostra famiglia, spediti ad Auschwitz, da cui non hanno fatto più ritorno”.

Per circa un anno, la famiglia Vitale resta confinata in un campo militare fino agli inizi del 1945. “Per 6 mesi alcuni amici ci hanno ospitati in casa fino alla fine della guerra, avvenuta nel mese di maggio – spiega – Tornati in Italia, siamo rimasti a Biella per poco tempo e, nel 1950, ci siamo trasferiti in Israele, dove tuttora viviamo stabilmente”. Il nome dei Vitale è molto conosciuto da quelle parti, tanto che una via di Tel Aviv è dedicata al padre di Riccardo, Maurizio. “Ne siamo davvero onorati – confida – È un modo per mantenere il ricordo dei miei genitori”.

Negli stessi mesi del 1943, un altro ramo della famiglia Vitale fu costretta a vivere momenti simili: parliamo di Nora Vitale, cugina di Riccardo, il cui ricordo è affidato alla parole di Lommy Legziel, 65 anni, una vita trascorsa tra Biella e la terra di Israele, dove oggi risiede. “Con l'approvazione delle leggi razziali in Italia, la vita della mia famiglia mutò radicalmente – riporta – Mia madre aveva 6 anni all'epoca e fu costretta a lasciare la sua scuola e i suoi amici perchè ebrea. Assieme ai nonni, si stabilì nella casa di campagna, fuori Carisio, e lì vi rimasero fino all'8 settembre 1943. Con la calata dei nazisti e l'Italia divisa in due, c'era il rischio di venire catturati e spediti in qualche campo di concentramento. Così, decisero di varcare il confine con la Svizzera”.

I diversi membri della famiglia raggiunsero prima la cittadina di Cannobio, sul Lago Maggiore, e da lì si spostarono in terra elvetica. “Purtroppo furono costretti a dividersi – afferma – I nonni erano a Locarno, mia madre e la sua sorellina di pochi anni furono ospitate in un convento di Ginevra fino al 1946, prima del ritorno in Italia, col treno fino a Domodossola. Mamma fu costretta a crescere molto velocemente e diventò quasi una seconda madre per mia zia Silvia. La responsabilità era enorme: sole, in tenera età, in un paese che non si conosce. Inoltre, la sorellina contrasse una malattia che, di lì a pochi anni, la stroncò una volta tornata a casa. Fu un colpo tremendo per la mia famiglia. Mamma non ne parlò mai, fino ad un anno prima della sua scomparsa”.

Il dolore era troppo grande ma la sua storia non scomparve. Venne, infatti, trascritta su una chiave usb e lasciata in eredità proprio a Lommy. “Dopo la sua morte, ho trovato una scatola con scritto il mio nome – espone – con tanto di documenti e scritti riportati su chiavetta. Lì, mia madre aveva raccontato l'intera vicenda. È stato toccante e terribile leggere ciò che aveva subito mia madre quand'era solo una bambina. È diventata adulta per prendersi cura della sua sorellina e la sua scomparsa è stato un fardello tremendo. Un vero trauma. Pensate che in ospedale aveva accanto a sé la foto di sua sorella. Forse, è per questo che non ha mai voluto raccontarci la storia di quegli anni. Il dolore era ancora troppo intenso e profondo”.

80 anni sono passati ma la memoria resta imprescindibile. “Ricordare è importante – dichiara – Tragedie di quel tipo non devono più accadere. Purtroppo noto che dimenticare fa comodo a molti. Non è facile ammettere che gli autori di quelle atrocità erano i propri padri e nonni. Inoltre, vedo che in molte parti del mondo, stanno tornando parole sinistre, comportamenti inaccettabili, già riscontrati in quel tragico passato. Per questo, il valore della memoria è fondamentale. Ora, più che mai”.

g. c.

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