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AL DIRETTORE | 12 marzo 2025, 12:00

Crisi Europa, Stati Uniti, Russia, guerre, economia: l'analisi di Domenico Calvelli

Un'analisi approfondita su come cambiano gli scenari in base alla storia e ai governi.

domenico calvelli

L'analisi di Domenico Calvelli

E’ ormai di pubblico dominio che la storia, per l’ennesima volta, ha di nuovo svoltato decisamente verso un futuro in gran parte da scrivere. Il buon Giambattista Vico con la sua “teoria dei corsi e dei ricorsi storici” insegna; basterebbe studiarla però questa benedetta storia, e non presentare taluni programmi scolastici che sembrano predisposti ad hoc per calare lo studente in una beata ignoranza storica, con l’effetto di castrarne la coscienza critica. Chi, sino a ieri, è vissuto nel fantastico mondo della pace scontata, dei diritti acquisiti, del “volemose bene” sempre e comunque, dovrebbe, suo malgrado, rivalutare il mondo che lo circonda, meditando su ciò che accade e su ciò che potrebbe accadere. 

Il teatro della storia è composto di nazioni non tutte sul medesimo piano quanto a potenza economica, militare, culturale. Oggi, e vedremo per quanto ancora, gli Stati Uniti d’America continuano a svolgere un ruolo imperiale, piaccia o no. E gli imperi, da che mondo è mondo, fanno sempre i propri interessi, prima di tutto. La medesima cosa si potrebbe dire dell’impero nascente (già compiutamente nato?) della Repubblica Popolare Cinese ed ai sedicenti emergenti piccoli imperi collocati in altre aree del globo.

Una cosa è certa: l’Europa (Unione Europea ed altri paesi del continente) impero non è di sicuro. Se lo diventerà mai, ci vorrà prima di tutto volontà (ne vedo pochina), potenza e tempo; in tutta franchezza, sono pessimista. Ed allora, se non si è impero, si deve sottostare ad alcune regole elementari, provenienti dal bon ton politico della notte dei tempi: se faccio parte della categoria dei clientes, non sono proprio un vassallo, ma non sono in grado di determinare, da solo, il mio destino. La narrazione sui nobili valori fondanti dell’Europa, pur rimanendo fonte di pace, diritto e prosperità, deve necessariamente trasformarsi. 

Il paradigma è mutato, irreversibilmente, e se non si vuole gettare il bimbo con l’acqua sporca occorre evitare la sclerotizzazione, ormai diffusa, nel vedersi efficacemente Europa. Agli albori dell’Unione Europea (e della NATO, che coinvolge e coinvolgeva, oltre a nazioni del Vecchio Continente, gli USA ed il Canada), ci si trovava in un contesto di grandi sfide: la ricostruzione dopo l’immane disastro della seconda guerra mondiale (neppure quello della prima era stato ancora del tutto sanato…), l’emergere di un nuovo grande impero (quello sì un impero vero), l’Unione Sovietica, con i suoi alleati del Patto di Varsavia (e membri del Comecon), l’esigenza di sviluppare un’economia di mercato con adeguati interventi degli Stati per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. 

Non era per nulla scontato che l’incipiente Guerra Fredda non sarebbe diventata “calda”. Il Patto di Varsavia, al contrario della narrazione oltrecortina che voleva raffigurarlo come un pacifico accordo difensivo, non era difensivo proprio per nulla. La caduta del Muro di Berlino ha consentito di mettere il naso negli archivi dell’Est; ne emersero, tra le altre cose, i piani di invasione del Nord Italia, con tanto di intervento delle forze corazzate ungheresi (oltre a quelle di altre nazioni del Patto, ovviamente), dotate di ottimi pontieri (il Nord Est italiano è ricco di fiumi, come la pianura pannonica, e i ponti, per rallentare l’avanzata, sarebbero stati fatti saltare in aria), con ingresso a Bologna ed attestamento sull’Appennino tosco-emiliano. La guerra non scoppiò, grazie a Dio, e l’Europa continuò a vivere in pace, forse grazie anche ad una congrua deterrenza. 

Ma il mondo non è fatto (e dubito che lo sarà mai) di teneri agnellini desiderosi di fare le coccole ai propri vicini di casa. Se si vuole evitare la guerra, o ci si disarma simultaneamente tutti (ma proprio tutti i 193 Stati membri dell’ONU, più le poche entità statuali non aderenti), o le cose potrebbero non andare come da manuale da bei sogni alla camomilla. Pure la storia recente ci ha regalato “meravigliosi” (si fa per dire…) eventi bellici che, al netto delle guerre, infinite, del Terzo Mondo, hanno coinvolto proprio la nostra Repubblica Italiana (dotatasi di costituzione che ripudia la guerra): Iraq, Iraq bis “la vendetta”, Afganistan, Serbia/ex Jugoslavia e Kosovo. Non entro per nulla nel merito di questi interventi, svolti sempre con alleati NATO ed extra NATO. Ma occorre far mente locale; oggi siamo al sicuro? Malauguratamente, no. Il mondo è cambiato. L’amministrazione statunitense, pure. Apparentemente l’Europa starebbe meno simpatica di prima agli americani, anche se ne dubito realmente (ma mi riservo di osservare dalla finestra). Gli Stati Uniti hanno sempre oscillato tra isolazionismo ed interventismo, ma il mondo è attualmente globale, e non si può non tenerne conto. Ed è anche vero che il “divide et impera” funziona sempre. 

A chi farebbe comodo un’Europa unita, una sorta di blocco continentale? A nessuno (salvo agli Europei)! Chi ci ha provato in passato ci ha lasciato le penne. Ce la fecero solo i Romani, e tennero duro per tantissimi secoli. Poi (molto dopo) arrivò l’impero spagnolo/asburgico: the end con la cosiddetta Armada Invencible (Invincibile Armata). Poi arrivò la Francia con Napoleone: the end a S. Elena. Poi la Germania con Hitler: the end nel bunker di Berlino. Pure l’Unione Sovietica con Stalin (che poi alla fine era un Hitler che ce l’aveva fatta) e suoi epigoni si sciolse come gelato al sole. Per secoli lo zampino anticontinentale ce lo mise la Gran Bretagna. Ma proprio l’allora Unione Sovietica (oggi ereditata, almeno in gran parte, dalla Federazione Russa) e gli Stati Uniti d’America (in misura tuttavia diversa) hanno sempre avuto il desiderio di evitare che un’Europa continentale emergesse come impero, dividendola. E dire che i clientes europei, dagli USA, sono sempre stati trattati con un riguardo ben diverso rispetto al trattamento ricevuto dai loro clientes dell’America latina. 

Su quello che succederà davvero con l’attuale amministrazione USA staremo e vedere. E’ troppo presto per giudicare e l’estrema polarizzazione tra “guelfi” e “ghibellini” rischia di accecare gli osservatori poco attenti. Occorrerebbe basarsi più sui fatti e meno sui proclami, al contrario di quanto osservo sui media. E ripensare ad un’Europa unita, coesa, non radicata agli ormai vuoti slogan del passato, che guarda a tutti i propri territori con rispetto, ai diritti ed ai doveri, allo sviluppo economico, alla reindustrializzazione (far produrre tutto all’estero -ormai l’hanno capito anche i sassi- è maledettamente pericoloso), all’autonomia energetica, e che si astenga dall’inondare imprese e cittadini di norme ed astruse regolamentazioni calate dall’alto come mannaie con cui il continente, ogni tanto, pare volersi autocastrare (sia chiaro, chi scrive non è ingenuo al punto di pensare che la castrazione sarebbe per tutti; a qualcuno, sovente nella storia, giova anche la peggiore norma). 

In questo contesto eufemisticamente fluido, sarei più orientato a prediligere la massima romana “si vis pacem para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra) rispetto alla massima berlingueriana “se vuoi la pace prepara la pace”. Questo per la comprovata inesistenza di un favoloso mondo di nazioni governate da teneri agnellini da latte e di un -fantascientifico- disarmo universale e simultaneo. 

Domenico Calvelli, presidente della Fondazione Italiana di Giuseconomia

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