Da 47 anni è titolare competente e appassionato del Ristorante Pizzeria La Lucciola, a due passi dalla Stazione San Paolo di Biella, oltre ad essere attualmente Consigliere Comunale, già eletto per 4 mandati, il primo nel 1999. Nato il 10 giugno 1958, a Tramonti, in provincia di Salerno, sposato con Angela dal 1991 e padre di tre figli, Fortunata, Raffaele e Marco, Luigi Apicella è uno dei simboli della ristorazione locale. Giunto giovanissimo sul suolo biellese, da oltre mezzo secolo è stato testimone vivente dei grandi cambiamenti che hanno interessato la nostra città, osservati attentamente da dietro il bancone e sempre col sorriso e una buona parola per tutti.
Luigi, è stato un bel viaggio: avresti mai immaginato un simile percorso di vita?
Sarebbe sicuramente molto romantico se dicessi che il mio sogno è sempre stato quello di abbandonare la mia Tramonti e di dedicare la mia vita alla ristorazione ma la verità è che riavvolgendo il nastro mi accorgo che la maggior parte delle volte sono semplicemente stato trascinato dagli eventi e da quello che mi sussurrava il cuore. Questa è una cosa che sanno in pochi, ma da bambino facevo dispetti a chiunque, parenti e non, ne combinavo davvero di cotte e di crude; non c’era minimamente cattiveria, era il mio modo di divertirmi, a quei tempi (e soprattutto in quel contesto assai umile) c’era spazio solo per il lavoro e allo svago non era concesso entrare. Qualche anno più tardi, guardandomi indietro, ho compreso che, nonostante tutti non mi capissero ed anzi si arrabbiassero (giustamente) con me, il mio era soltanto un modo innocente per comunicare e stringere legami con loro. C’era solo una persona che aveva già percepito a pieno la mia anima: mia madre Fortunata (per tutti Nonna Fortunata), la figura più rilevante della mia vita e probabilmente di tutta la nostra famiglia. Dunque per rispondere alla tua domanda: no, non mi sarei mai immaginato un simile percorso di vita ma posso affermare con estrema serenità, che i principali fattori che hanno direzionato e tutt’ora direzionano la mia vita sono il rispetto per il lavoro e l’amore per le persone.
Riavvolgiamo il nastro agli anni della tua giovinezza: come hai scoperto il Piemonte e, in particolare, il Biellese? So che avevi una zia da questi parti
Quella della nostra famiglia è stata una vera e propria odissea, roba che servirebbero interi libri per raccontarla in maniera davvero esaustiva. Chissà magari un giorno ci proverò. Alcuni zii si trasferirono nel Nord Italia in cerca di fortuna, cercando di impiantare nuovi modelli di business, come l’industria casearia e la ristorazione. Una delle ultime ondate migratorie è stata quella della mia generazione, che si è verificata negli anni ‘70 e ‘80, dove il nostro modello di pizzeria stava già prendendo piede. Come hai sottolineato tu avevo una zia, Emilia, che aveva un locale ad Ivrea che si chiamava proprio “La Lucciola”. Nel 1968, quasi per gioco, insieme a mio fratello, andammo a trovarla e mi rimase forte il ricordo di questa bellissima pizzeria e della quantità di persone che la frequentavano. Fu il primo luogo in cui cominciai a lavorare: per questa ragione 10 anni dopo ho deciso di omaggiarla dando lo stesso nome al mio locale.
Poi, il grande passo: il 28 febbraio 1974 ti sei trasferito stabilmente a Biella. Com'è nata questa decisione, è stato difficile lasciare la propria terra natia?
Tramonti era una realtà assai umile, dove le possibilità erano limitate e molti hanno cominciato a cercare fortuna altrove. Anche io avevo voglia di cambiare aria ma la verità è che a Biella ci sono arrivato un po' per caso. Con mio padre rimasto al Sud, assieme ai miei fratelli e a mamma siamo partiti verso il Nord. Prima a Ivrea poi a Biella: me ne innamorai subito. Le ultime generazioni forse non lo sanno ma un tempo questa città era davvero viva tanto che molti dicevano che sembrava una piccola Svizzera. Per me era più New York, in uno di quei film americani che tanto apprezzavo. Il richiamo con la mia terra è sempre stato forte e non nascondo che nei primi anni ho avuto più di qualche piccolo ripensamento e per degli attimi, l’idea di tornare giù mi aveva davvero sfiorato, soprattutto quando nel 1984 venne a mancare mio padre Prisco. Poi crescendo mi sono innamorato sempre più di Biella e vedevo che questo amore cominciava ad essere ricambiato. Sicuramente la scelta di rimanere a Biella la devo anche a mia madre, che ha deciso di stare al mio fianco sin dal primo giorno e aiutarmi a gestire l’attività.
Il 16 marzo 1978 hai aperto il tuo storico locale. Un giorno che ha fatto la storia: l'agguato di via Fani e il rapimento di Aldo Moro. Mi racconti quei momenti
Tra i ricordi che conservo, le emozioni vissute in quei giorni sono ben scolpite nella mia mente.
In pochi sanno che l’apertura della Lucciola è stata assai travagliata ma dopo tanti sacrifici eravamo finalmente pronti per inaugurare il nuovo locale. Ai tempi aleggiava un grande stato di incertezza in me: ero soltanto uno sbarbatello con mille paure e la sensazione perenne di essermi imbattuto in qualcosa di troppo grande. Dopo una notte praticamente insonne, la mattina di quel 16 marzo del 1978 fummo svegliati dalla tragica notizia del rapimento di Aldo Moro che gelò l’Italia intera. Ricordo il viso di ognuno dei miei famigliari, in particolar modo quello di Nonna Fortunata che, da donna forte quale era, non voleva far trasparire il senso di spaesamento che la stava avvolgendo. L’entusiasmo giovanile da cui ero stato contagiato in quei giorni fu presto travolto dalla cruda realtà di quanto stava accadendo. Sensazioni talmente forti che penso di aver rivissuto soltanto durante i primi giorni della pandemia di Covid-19.
Intorno alle 20 di quell’uggioso giovedì sera, aprii per la prima volta le porte della Lucciola e decisi di dare inizio a quello che sarebbe stato uno dei capitoli più belli della mia vita. L'esordio non fu dei migliori: ci furono solo 4-5 clienti e, quando il primo di loro venne a pagare, mi accorsi che avevo dimenticato di installare uno degli elementi più importanti: la cassa. Nel dubbio, decisi di offrire la cena a tutti.
Gli inizi come sono stati? Come ti ha accolto la popolazione biellese?
Ho trascorso più di due terzi della mia vita in questa città, quindi mi sento a tutti gli effetti un cittadino biellese ma devo ammettere che l’inizio della mia avventura non è stato facilissimo. Bisogna considerare che stiamo parlando di un contesto socioculturale assai diverso rispetto ad oggi: c’erano, infatti, molti pregiudizi nei confronti dei meridionali. Ma sono stato anche fortunato a trovare sulla mia strada alcune persone con una bontà d’animo fuori dal comune, capaci di andare ben oltre i pregiudizi ed aiutarmi a crescere: molto di quello che sono oggi lo devo anche a loro. Ad oggi credo davvero che, fortunatamente, le cose siano molto diverse anche se purtroppo ogni tanto si ha la sensazione che siano semplicemente cambiati gli interpreti.
Quali personaggi vip hanno varcato la soglia del tuo locale, perchè non ci racconti qualche aneddoto
Guarda, ci sono stati tanti “vip” che hanno varcato le porte della Lucciola. Penso a Enrico Montesano, Franco Nero, Giuliana De Sio, Gigi Sabani, Adriano Pappalardo, Toto Cutugno, Simona Tagli, Alessandro Preziosi, Franco Nicolazzi, Claudio Gentile, Alessandro Altobelli, Giuseppe Baresi, recentemente anche Shade, Samuel dei Subsonica, Neri Marcorè e tantissimi altri. Su tutti sicuramente cito Beppe Quintale con cui abbiamo instaurato un rapporto di vera amicizia e con cui ogni volta, insieme al Principe Policarpo, ci facciamo tante risate. Ma gli aneddoti più divertenti li ho vissuti con le persone di tutti i giorni, che hanno significato davvero molto.
Quali i momenti più gratificanti? E quello più difficile?
Sono un positivo per natura, una persona che ama apprezzare sempre il bicchiere mezzo pieno, cercando di cogliere il buono anche nei momenti di difficoltà. Ma se devo proprio citarne uno, quello è sicuramente la perdita di mia madre. Aveva la sua buona età ed era una donna molto serena, quindi provi a fartene una ragione ma non si è mai pronti a dire addio ad un genitore; quando accade entri in una fase più profonda della tua vita. Era la colonna portante della nostra famiglia e la figura più importante della mia vita. Ma proprio da quell’evento traumatico ho trovato nuova linfa per andare avanti con più forza di prima.
Non posso non citare anche il momento legato alla pandemia di Covid-19, per certi versi ancora più difficile. La cosa più straziante era il senso di incertezza totale a cui eravamo abbandonati e la frustrazione nelle continue riaperture a singhiozzo. Devo dire che anche il quel caso le persone ci hanno premiato non abbandonandoci mai ed anzi riempiendoci di attestati di stima e affetto. Dall'altra parte ce ne sono molti gratificanti: dall’anziano signore che viene a prendere le stesse due pizze alla stessa ora dello stesso giorno da più di 40 anni, a quello che veniva a cenare da bambino con i suoi genitori ed ora è a sua volta padre di tanti bambini. Ecco, in tutto questo, ritrovo i momenti per cui vale davvero la pena fare questo lavoro.
Hai assistito ai grandi cambiamenti socio-economici della città: quali quelli più significativi?
Secondo la mia esperienza personale i grandi cambiamenti socio-economici della città si sono verificati per la crisi del tessile e quella che colpì la maggior parte delle piccole e medie imprese italiane a partire dal 2008. Credo che, soprattutto nel primo caso, il problema sia scaturito dal fatto che non avevamo alternative su cui spingere ed investire al di fuori di quel settore che ci aveva permesso di farci conoscere e apprezzare in tutto il mondo. A ciò si aggiunge lo spostamento del polo economico nella parte sud di Biella, a discapito del centro e di altre zone della città. Già ai tempi avevo espresso le mie perplessità in consiglio comunale poiché temevo proprio questo triste epilogo. Infine lo spostamento dell’ospedale ha accentuato ulteriormente questa tendenza.
Biella è ad una svolta: quale futuro immagini per la città?
Purtroppo ogni tanto i dati parlano chiaro e, per quanto riguarda Biella, non sono affatto rassicuranti. Il vero problema è che siamo ancorati sempre sulle stesse problematiche, discussioni e situazioni. Si parla sempre delle solite cose ma alla fine difficilmente si riesce a combinare qualcosa di realmente utile; anzi, difficilmente si riesce a combinare qualcosa. Basti pensare che sono più di 20 anni che si parla delle infrastrutture biellesi, che dovrebbe essere il passo iniziale per aprirci al resto del mondo e non isolarci ancora di più. Questo è il primo punto indispensabile, altrimenti tutti i ragionamenti susseguenti non hanno senso di prendere piede. Tuttavia se mi si domanda quale futuro immagino per questa città, posso dire che in cuor mio conosco le reali potenzialità del Biellese e sono sicuro che attraverso una proattività comune possiamo realmente far svoltare questa città: le potenzialità sono davvero tante.
Oltre alla ristorazione, la tua grande passione è la politica. Da dove nasce il tuo impegno civile?
Ciò che più mi ha spinto nella mia vita è stata la curiosità: già da bambino quando mi occupavo delle piccole faccende agricole ero solito fare mille domande e volevo capire come migliorare ogni cosa. E come in quella circostanza, ero talmente innamorato di Biella che volevo capire a pieno il suo funzionamento, cosa non andasse e contestualmente cosa potesse servire per migliorare la nostra città. Non volevo fermarmi qua solo per lavorare: se avessi dovuto restare avrei voluto capire ogni singolo ingranaggio di questa grande macchina. Stavo ricevendo talmente tanto da questa città che volevo a tutti i costi dare qualcosa di forte in cambio. Coincidenza vuole che durante questi pensieri ci fu lo scandalo di Tangentopoli, dunque vi era penuria di candidati e i massimi esponenti dei partiti stavano cercando volti nuovi da inserire nel contesto politico biellese: io caddi a fagiolo e decisi subito di accettare la sfida. Inoltre dentro di me volevo anche, come dicevo prima, contribuire ulteriormente ad abbattere il pregiudizio nei confronti dei meridionali, dimostrando quanto potessi valere e quanto potessi dare a questa città.
Negli ultimi anni, hai dato vita ad un sodalizio lavorativo e “artistico” con un Principe della musica. Parliamo di Policarpo Crisci, uno dei tuoi storici collaboratori: ci racconti il vostro primo incontro?
L’altro giorno ho visto un video dove Paolo Bonolis parlava di come ha conosciuto Luca Laurenti. Mi ha ricordato tanto il mio primo incontro con Policarpo e la successiva nascita della coppia. Era l’aprile del ’97 e ad un certo punto si presenta alla mia porta un ragazzetto molto disorientato con quella faccia che mi ha subito ricordato il maestro Totò, il Principe della risata (da qui il nome d’arte O’ Principe Policarpo), uno dei personaggi che maggiormente ha influenzato la mia vita. Mentre pensavo a questa incredibile somiglianza, lui guardandosi attorno esclama “Buongiorno, io vorrei fare il cameriere”. Ancora non riesco a capirne il motivo, ma rimasi totalmente folgorato. Devo essere onesto, in quel periodo non stavamo cercando personale ma nella mia testa avevo già visto il film che avrei vissuto insieme a lui nei futuri trent’anni. Inoltre mi ricordava tanto il me ragazzino di qualche anno prima, che avrebbe tanto voluto essere subito accolto e capito: dovevo dargli una chance. Inutile dire che oggi non solo è un’istituzione di questo locale ma è soprattutto uno dei miei più fedeli amici e collaboratori, come fosse un quarto figlio; anche se talvolta, proprio come un figlio, capita che fa un po’ disperare, ma il mio bene nei suoi confronti rimarrà sempre sconfinato. Quindi possiamo dirlo: “Lunga vita a Policarpo O’ Principe”.
Lo scorso mese il web si è commosso di fronte al tuo video di Natale da oltre 20mila click: stima e affetto i feedback più diffusi. Qual è la ricetta, il segreto di un simile successo?
Devo dire che la “Gente della Lucciola” è sempre molto amorevole nei nostri confronti ma siamo rimasti anche noi positivamente sopresi dall’ondata di affetto ed emozioni che ha generato quel video.
Forse il segreto è proprio che non ci fosse una vera e propria ricetta. O meglio, volevamo fare una sorta di regalo ai nostri affezionati clienti, e in completa sinergia con i miei figli, c’era già da tempo la voglia di spingere questo concetto di umanità che negli ultimi anni è un po’ trascurato. Da questi pensieri, mio figlio Marco ha ideato e scritto il video, che la sua fidanzata Ludovica Renaldo, videomaker di professione, è stata assai sapiente a realizzare ed arricchire in maniera davvero impeccabile. In cuor mio speravo di regalare qualche minuto di leggerezza e lasciare un piccolo margine di riflessione, ma mai mi sarei aspettato un tale successo. Nei giorni seguenti sono state centinaia le persone che dopo aver visto il video, hanno chiamato o sono venute di persona al ristorante per ringraziarci, complimentarsi e passare del tempo insieme a noi. Sono gesti che valgono più di qualsiasi altra cosa e che sono capaci, a sessantasei anni suonati, di farmi ancora emozionare e farmi capire una volta ancora perché amo fare questo lavoro. A tutti loro non posso che porgere l’ennesimo sentito ringraziamento: siete unici!
Infine, quale futuro ti attende? Stai pensando a ritirarti, a trovare un erede o proseguirai il cammino con rinnovato entusiasmo?
Quello che so è che ad oggi posso affermare che sono una persona molto serena sia a livello lavorativo che a livello personale. Negli ultimi anni i miei due figli Raffaele e Marco hanno deciso di affiancarmi stabilmente alle redini del locale, quindi si sono sobbarcati gran parte del lavoro e, sinceramente, non potrei esserne più felice. Probabilmente se La Lucciola è ancora oggi un locale molto frequentato a tutte le ore del giorno, è in gran parte merito loro. Credo che il loro apporto, attraverso la loro freschezza e le loro idee, sia stato decisivo per questo locale dal Covid-19 in poi: senza di loro non ce l’avrei mai fatta. A loro augurerò sempre il meglio, così come ha fatto mia figlia Fortunata, sceneggiatrice romana sempre più affermata, che mi rende estremamente orgoglioso. Ma la vera fautrice di questo equilibrio imperfetto, come amo definirlo io, è mia moglie Angelina, una donna tanto straordinaria e forte che per sua scelta ha sempre preferito rimanere dietro le quinte ma il cui appoggio è stato estremamente determinante: senza di lei sarei davvero perso. Dunque sarò sincero e no, non so quando ancora quando mi fermerò e cosa potrà accadere in futuro. Ciò che so è che nel frattempo continuerò ad impegnarmi affinché Biella possa ritrovare la dimensione che merita e che questo locale possa restare un punto di riferimento per tutte le generazioni future, costruito grazie ai volti e ai racconti di chi, ogni giorno, continua a varcare le porte della nostra amata Lucciola.