Le previsioni in economia servono solo ad essere smentite e a far fare brutta figura a chi si cimenta nell’opera. Questo vale sempre, ma in particolar modo in questo momento che è caratterizzato dalla incertezza più assoluta. E come noto incertezza è il peggior compagno delle decisioni economiche, peggio ancora della recessione della quale, ovviamente, unanimemente, tutti si auspicano la fine.
La straordinaria incertezza che regna nell’attuale fase economica e che ha avuto inizio con l’insediamento di Donald Trump dalla casa Bianca ci consente soltanto di puntualizzare i contorni entro i quali sviluppare un minimo di ragionamento economico. La principale incertezza dal punto di vista geopolitico è determinata dalla nuova fase in cui è entrata la guerra in Ucraina e, soprattutto, il rapporto tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea in tema di difesa. Come peraltro aveva preannunciato con la consueta lucidità Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività europea, è definitivamente tramontata l’era in cui l’Europa ha delegato la propria difesa negli Stati Uniti e la propria sopravvivenza energetica alle materie prime comprate da fornitori extra europei in primo luogo la Russia per il gas ed i paesi arabi per il petrolio.
Da un punto di vista economico, il maggior tema di incertezza è dato dalla decisione di Donald Trump di riportare in attivo la bilancia dei pagamenti degli USA, attualmente largamente in rosso, proponendosi di raggiungere questo obiettivo (condivisibile) non attraverso l’efficienza del sistema economico, ma attraverso l’imposizione di dazi. Non solo: i dazi imposti da Trump a giorni alterni vengono annunciati, imposti, sospesi e revocati e reimposti lasciando quindi gli operatori economici in condizioni di tale incertezza da rendere praticamente impossibile o qualunque decisione di spesa o investimento. Lo scenario, quindi: l’Europa e al suo interno (in particolar modo Germania e in Italia) basano buona parte del Pil (per l’Italia circa il 30%) sull’export e il principale mercato di sbocco sono proprio gli Stati Uniti. D’altro canto circa 40% delle merci importate negli Stati Uniti è destinata a fasi intermedie dalla produzione, quindi difficilmente sostituibili nel breve periodo, e pertanto il risultato attuale dell’imposizione dei dazi da parte di Trump è da un lato l’aumento dei prezzi della manifattura Usa, che si trasla sui consumatori, dall’altro lato una generale restrizione del commercio internazionale.
Già oggi l’Europa ha annunciato contro dazi su prodotti americani di importo sostanzialmente pari a quelli imposti dagli USA. Chi ci guadagna e chi ci perde? Al momento si può solo dire che a livello globale ci perdono tutti, tuttavia all’interno di questo risultato globale i risultati si distribuiscono in maniera fortemente disuguale per cui ci sono alcuni settori che se ne avvantaggiano gli altri che perdono in maniera consistente. L’evoluzione dei prossimi mesi, in particolar modo l’indice di fiducia dei consumatori e delle imprese Usa potrebbe essere il termometro che indica la direzione che prenderanno le economie mondiali mentre la borsa di Wall Street continua a bruciare ricchezza.